La decisione è stata annunciata nella serata di ieri (mattinata per il fuso orario degli stati uniti) ed ha già fatto il giro del mondo, suscitando polemiche e commenti di praticamente tutte le testate giornalistiche. Donald Trump ha annunciato di voler lasciare al più presto i famosi accordi di Parigi relativi alla COP21, ovvero la conferenza sul clima che si è tenuta lo scorso novembre 2015 nella capitale francese.
Con questa decisione, che comunque stando agli accordi non potrà essere ratificata prima del novembre 2019, gli Stati Uniti non si impegnano più a mantenere la promessa di ridurre le emissioni sotto la soglia che consentirebbe alla temperatura globale di non superare un’anomalia complessiva di 2°C. Quello che molti ignorano è che, pur in questo scenario ottimistico, la temperatura sarebbe destinata a salire nei prossimi 80 anni.
Tuttavia, nel limite dei 2°C gran parte dei danni potrebbero idealmente essere arginati. Nessuno ci garantisce, invece, che la stessa cosa accada se la temperatura si spingerà oltre i 2°C di anomalia.
Ci sono, a mio parere, vari aspetti di questa vicenda che devono essere evidenziati in modo da inquadrare la decisione di Trump.
Primo: i cambiamenti climatici ci stanno già interessando, ma in modo lento ed indiretto. Il problema di fondo nel voler identificare un aumento di temperatura è che questo accade con un ritmo estremamente lento tale che non può essere catturato dalla nostra soggettività quotidiana ma che necessita di dati raccolti su scale decennali. Il video sottostante del MetOffice mostra chiaramente l’aumento di temperatura avvenuto negli ultimi anni.
Viene quindi spontaneo fare il famoso paragone con una rana cotta a fuoco lento in una pentola piena d’acqua. Se l’aumento di temperatura é lento abbastanza il corpo della rana si adatterà continuamente alla variazione di temperatura ritardando fatalmente la sua presa di coscienza.
C’è da dire che le conseguenze di questo fenomeno che ci interesseranno da vicino saranno quelle sociali prima ancora di quelle legate al mero aumento di temperatura. L’errore che fanno molte persone è quello di dire “cosa vuoi che siano 1 o 2 gradi in più?”. Quello che ci metterà in difficoltà non sarà un grado in più o in meno ma piuttosto quanto quel grado imporrà cambiamenti sociali, spostamenti di massa dalle coste allagate, epidemie… Questo è quello che ci deve preoccupare maggiormente!
Secondo: la decisione di Trump, un leader mondiale (!), è basata su una mancata comprensione delle basi scientifiche che costruiscono la cultura del clima e della fisica dell’atmosfera. Mai come in questi mesi i pensieri complottisti e le opinioni infondate della parte più nascosta di internet hanno avuto successo e sono arrivati al grande pubblico. Si tratta di una strategia di marketing improntata al “numero di click” che sfrutta l’appeal di certe notizie, totalmente inventate, e la mancanza di fonti. Poco importa, poi, che queste notizie vengano prontamente annoverate tra le bufale: il proiettile è ormai stato lanciato. La mancanza di cultura scientifica che porta a liquidare il cambiamento climatico come un “problema inventato per avvantaggiare l’economia della Cina” è proprio frutto dell’avvento di questa “post-verità”. D’altra parte Trump non è l’unico ad aver diffuso notizie false riprese da testate giornalistiche che non avevano citato fonti. Stiamo parlando di un leader internazionale, non di una persona qualunque.
Terzo ed ultimo punto: serve una coscienza scientifica radicata ed unilaterale che permetta a chiunque di capire il problema. Badate bene, non stiamo parlando di una visione che viene imposta “dall’alto” come verità ufficiale. Le persone devono comprendere perché l’aumento di gas serra porta ad un aumento di temperatura e cosa questo comporta per il futuro. Non è ancora possibile che nel 2017 venga dato spazio in televisione o sui giornali a persone che vanno contro il pensiero scientifico prevalente in nome della “libertà di pensiero”. Sostenere che la terra piatta è forse libertà di pensiero? Soluzioni come quelle dell’accordo di Parigi sono meri palliativi senza una cultura di fondo che faccia cambiare le abitudini delle persone.
In ultimo questa cultura scientifica porterebbe anche a capire che l’economia mondiale non può più puntare sulla crescita smisurata e senza controllo. Se non ci sono più risorse naturali che senso ha ancora parlare di azioni, BTP, spread…? Quando capiremo che non si può basare ogni decisione sull’aumento dei posti di lavoro o del capitale nel breve termine se poi nel lungo termine tale tendenza potrebbe invertirsi proprio a causa delle nostre azioni?
C’è bisogno di un’azione decisa, unita.
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