Qual è la causa scatenante degli incendi mortali che da mesi tormentano l’Australia? Perché il 2019 è stato senza precedenti?
Gli incendi boschivi sono un evento regolare nel calendario australiano, che ogni anno fa i conti con le fiamme scatenate da cause naturali o dall’attività umana. Quest’anno, però, è stato senza precedenti in termini di dimensioni e intensità, con danni incalcolabili al territorio, ad abitazioni e infrastrutture, nonché la perdita di 24 vite umane e almeno 500 milioni di animali. Un enorme disastro ambientale, che sta costringendo migliaia di persone all’evacuazione e sta mettendo a rischio numerose specie, di cui molte in via di estinzione.
Ma cosa ha causato la tragedia che ha spinto le fiamme a bruciare oltre 3,6 milioni di ettari di terreno australiano? Perché il 2019 è stato di gran lunga peggiore degli altri?
Per comprendere cosa ha reso gli incendi così gravi basta pensare che la primavera scorsa è stata la più secca del continente da quando i record sono iniziati 120 anni fa, interessando soprattutto il Queensland e il Nuovo Galles del Sud. Proprio queste regioni, dove si registrano tutt’ora i danni più significativi, hanno subito una grave carenza di precipitazioni dall’inizio del 2017, diventando un’esca perfetta per le fiamme.
La combinazione dell’aridità del terreno e degli arbusti con l’ondata di caldo estremo che ha interessato il continente – negli ultimi tre mesi sono state registrate temperature record, con una media di oltre 41 °C a dicembre – ha fatto sì che gli incendi si propagassero in maniera incontrollata, alimentati da venti che hanno sfiorato i 100 chilometri orari. Il fumo, spinto dalle raffiche fortissime, ha raggiunto anche le zone dell’entroterra e le città, dove la qualità dell’aria è attualmente tra le peggiori al mondo.
Tutto questo non può che portare ad un’altra domanda: la causa è il cambiamento climatico?
È indubbio che, secondo gli esperti, nonostante la frequenza annuale degli incendi nel continente, la crisi climatica svolga un ruolo fondamentale nella caratterizzazione estrema degli incendi. Se un evento naturale come un fulmine può innescare un rogo in un’area che ha subito una prolungata siccità, bisogna considerare anche cosa favorisce le condizioni ideali per certi fenomeni e la loro pericolosità. L’aumento delle emissioni di gas serra, a cui è direttamente legato l’aumento delle temperature, non può che favorire tali condizioni, prolungando le stagioni secche e di conseguenza la portata degli incendi.
Secondo il Bureau of Meteorology australiano, le temperature del continente sono già aumentate di più di un grado Celsius dal 1920, con gran parte dell’aumento registrato dal 1950 in poi. Il clima sull’isola sta sicuramente cambiando e sebbene questa possa contare sullo schieramento di centinaia di migliaia di vigili del fuoco e forze armate per cercare di tenere sotto controllo gli incendi, a lungo termine è necessaria una revisione del settore edilizio e della gestione del fuoco in base alla portata sempre più incontrollabile delle fiamme.
In questo quadro critico si colloca la cattiva gestione del clima da parte del governo – nel 2014, ad esempio, è stata abrogata una tassa sul carbonio di successo, che aveva contribuito a ridurre le emissioni di gas serra – e la scarsa risposta alla crisi del primo ministro Scott Morrison, ampiamente denunciato per la sua politica negazionista e piuttosto assente sul fronte dell’emergenza. A livello internazionale, la delegazione di Morrison al recente vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici è stata accusata di ostacolare i negoziati per ridurre le emissioni di carbonio a livello globale.
Va ricordato che l’Australia è il maggiore esportatore mondiale di carbone e gas naturale liquefatto e ciò ha una grossa influenza sulla politica nazionale. Morrison ha infatti respinto non solo le proposte di ridimensionamento della redditizia industria del carbone australiana, ma anche ogni richiesta di cambiare approccio governativo, nonostante l’emergenza degli incendi boschivi.
Fonte: The Telegraph.
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