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Le fiamme hanno quasi raggiunto l’area del disastro nucleare, ma le autorità ucraine affermano che la situazione è “sotto controllo”.
A distanza di decenni si torna a parlare dell’area di esclusione di Chernobyl, teatro di una tragedia i cui segni sembrano indelebili e che ancora oggi sono in grado di costituire una minaccia terrificante per le persone. I quattro incendi scoppiati il 4 aprile si sono avvicinati pericolosamente al reattore dell’ex centrale nucleare che causò il disastro nel 1986, distruggendo ben 10.000 ettari di foreste. Secondo quanto affermato dalle autorità ucraine, dopo 10 giorni le fiamme sono state domate e non c’è “alcuna minaccia” per quanto riguarda il potenziale aumento di radiazioni nell’area.
La vicenda che ha colpito il luogo noto per la peggiore catastrofe nucleare di sempre ha destato diversi sospetti riguardo le cause e soprattutto le conseguenze, da cui sembrano trapelare informazioni poco chiare. Le fiamme infuriate nell’area contaminata potrebbero essere state frutto dell’opera di un 27enne arrestato nei giorni scorsi, il quale ha dichiarato di aver dato fuoco “per passatempo” ad un cumulo di rifiuti ed erbacce. Non è chiaro se l’evento sia stato di natura prettamente dolosa o di parziale responsabilità del sospettato.
Mentre i funzionari ucraini sottolineano che non c’è nulla da temere e che gli incendi “non interessano né la centrale nucleare, né i depositi di rifiuti combustibili o altre strutture critiche”, le organizzazioni per l’ambiente evidenziano che il vasto incendio ha comportato un rischio significativo di aumento delle radiazioni, il cui livello è già normalmente sopra la soglia. Il rischio di contaminazione insieme al vento forte hanno complicato le operazioni di spegnimento, per le quali sono stati mobilitati più di 400 vigili del fuoco assistiti da elicotteri, che hanno gettato decine di tonnellate di acqua. Secondo le immagini satellitari, il punto più vicino dell’incendio alla cupola che copre il reattore carico di scorie radioattive si trovava a soli 1,5 km. Yaroslav Yemelyanenko, capo dell’associazione delle guide turistiche di Chernobyl, ha affermato che l’incendio ha raggiunto Pripyat, la città fantasma da cui furono evacuate 50.000 persone dopo l’esplosione.
Secondo Greenpeace Russia, si è trattato del peggiore incendio verificatosi dopo la catastrofe del 1986. Gli incendi nell’area di Chernobyl sono infatti eventi più o meno frequenti, che si verificano con cadenza annuale e apparentemente senza suscitare particolare clamore. I roghi nell’area contaminata comportano una serie di effetti gravemente dannosi, che iniziano con la combustione – quindi le emissioni – e la propagazione di cenere nell’aria. Gli isotopi radioattivi intrappolati nelle piante e nel terreno da decenni vengono così liberati nell’atmosfera, provocando un picco nella radioattività del territorio. Le immagini del contatore Geiger diffuse dal capo del Servizio di ispezione ecologica statale ucraino Yegor Firsov durante l’incendio riportavano chiaramente l’aumento del valore di radioattività da 0,14 a 2,3.
Ad oggi sono ancora molte le incongruenze che aleggiano sul disastro nucleare e per cui si battono diverse organizzazioni ambientaliste. Mentre attualmente è vietato l’accesso all’area di 30 km attorno all’ex centrale elettrica, dopo il disastro del 1986 i reattori non coinvolti dall’esplosione sono rimasti attivi fino al 2000, nonostante i livelli di radioattività fossero ancora estremamente alti. Soltanto nel 2016 è stata realizzata la cupola protettiva attorno al reattore compromesso, mentre i segni del disastro hanno continuato a manifestarsi tra decessi, malattie e deformazioni.
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