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Anche in Inghilterra, come in Italia, la letalità del virus sembrerebbe legata a maggiori concentrazioni di biossido di azoto e NOx.
Continuano le ricerche sulla possibile correlazione tra inquinamento atmosferico e letalità del nuovo coronavirus, che in alcune parti del mondo ha determinato un numero marcatamente superiore di decessi. Il nuovo studio condotto dai ricercatori dell’Università di Cambridge, pubblicato su MedRXiv, ha esaminato l’impatto della pandemia in relazione all’inquinamento sulla popolazione inglese, sul filone delle evidenze mostrate finora nei casi dell’Italia e degli Stati Uniti. Sulla base degli inquinanti atmosferici intesi come fattori di rischio per la salute umana, i ricercatori hanno riscontrato un tasso di mortalità maggiore nelle regioni dell’Inghilterra con la qualità dell’aria più scarsa, il che sembrerebbe confermare quanto evidenziato da altri studi recenti.
L’indagine è stata condotta su 7 regioni inglesi che hanno registrato almeno 200mila contagi e 200 vittime, in relazione alle concentrazioni atmosferiche nocive, in particolare di biossido di azoto, rilevate tra il 2018 e il 2019. L’analisi si basa sul rischio costituito dall’esposizione prolungata a certi inquinanti atmosferici e sulla possibilità di una “risposta infiammatoria persistente in grado di aumentare il rischio di infezione da virus che colpiscono il tratto respiratorio”, si legge nella ricerca. Essendo la mortalità del Covid-19 per gran parte legata a patologie preesistenti, le malattie legate a tale esposizione – tumori, diabete, malattie cardiovascolari e respiratorie – potrebbero suggerire un legame tra qualità dell’aria e letalità del virus, noto soprattutto per l’insorgenza della sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), ovvero una polmonite potenzialmente fatale.
Secondo lo studio, la mortalità del Covid-19 in Inghilterra ha seguito tendenze simili alle maggiori concentrazioni di biossido di azoto e NOx. Confrontando le medie annuali di tali concentrazioni e i casi di Covid-19 positivi registrati, risulta che questi erano associati, come nel caso di Londra, delle Midlands e del nord ovest del paese. Il numero maggiore di decessi corrispondeva ad aree fortemente urbanizzate e con alti livelli di inquinanti atmosferici, ad esclusione dell’ozono. A tal proposito i ricercatori hanno ipotizzato che la causa potrebbe essere l’elevata reattività di questo elemento e la sua conversione in altri gas, un fenomeno già osservato nelle zone con molto traffico.
“È qualcosa che abbiamo già osservato durante il precedente focolaio di Sars nel 2003”, afferma Luis Miguel Martins, co-autore della ricerca del MRC Toxicology Unit, “quando l’esposizione a lungo termine agli inquinanti atmosferici ha avuto un effetto dannoso sulla prognosi dei pazienti affetti da Sars in Cina”. Si tratta comunque di studi che necessitano di ulteriori approfondimenti, sottolinea il team, sebbene i dati raccolti finora da vari paesi sembrano suggerire la plausibilità del fenomeno.
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