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I fossili dei fondali nell’Atlantico mostrano una migrazione di molti organismi marini a causa del riscaldamento delle acque e del cambiamento delle circolazioni oceaniche.
Le circolazioni oceaniche stanno cambiando e con esse potrebbero cambiare anche gli ecosistemi. A suggerirlo è un nuovo studio pubblicato su Geophysical Research Letters, che attraverso l’analisi di sedimenti nei fondali dell’Oceano Atlantico, fa luce su un cambiamento degli ecosistemi marini mai visto in 10.000 anni. Il riscaldamento delle acque sta portando molti pesci e organismi acquatici a migrare verso acque più fredde: in generale, sebbene risulti poco percettibile o proiettato nel futuro, il cambiamento climatico negli oceani sta diventando evidente.
Dalla fine dell’ultima era glaciale, nota come Olocene, si ritiene che il clima sia stato piuttosto stabile, così come le principali correnti oceaniche. Tali correnti hanno cicli naturali, che influenzano la vita e lo spostamento degli organismi marini, dal plancton alle barriere coralline, dai pesci agli uccelli marini. I fossili oceanici analizzati dal team provengono da fondali poco a sud dell’Islanda, dove una specifica corrente fa sì che i sedimenti si accumulino in grandi quantità. I campioni contengono informazioni dall’era industriale a molte migliaia di anni fa, il che ha consentito una visione più ampia dei modelli di cambiamento. Esaminando campioni di foraminifera, una specie di plancton, è stato possibile presupporre che il clima abbia già avuto impatto sull’oceano, sulla base del fatto che la distribuzione odierna di questo organismo sia differente rispetto all’inizio dell’era industriale.
Uno studio del team nel 2018 aveva smentito la similarità delle correnti oceaniche moderne con quelle degli ultimi duemila anni, dimostrando che il capovolgimento del “nastro trasportatore” è stato al suo punto più debole per 1.500 anni. Partendo da questo presupposto, la circolazione superficiale attuale del Nord Atlantico è diversa da qualsiasi cosa mai vista negli ultimi 10.000 anni, spiegano i ricercatori, cioè quasi per l’intero Olocene. Gli effetti sono visibili in tutta l’area interessata: le specie di plancton di acqua fredda sono state spesso rimpiazzate da altre che prediligono acque più calde e povere di nutrienti, mentre molte specie ittiche chiave come lo sgombro tendono a spostarsi verso nord. Andando verso l’Artico, altre prove fossili suggeriscono un maggiore afflusso di acqua più calda, un fenomeno che probabilmente contribuisce allo scioglimento del ghiaccio marino.
Non è possibile affermare con certezza cosa abbia causato questi cambiamenti nella circolazione oceanica, ma l’ipotesi principale è che gli oceani siano più sensibili al cambiamento climatico di quanto si pensasse in precedenza. La riduzione della salinità dell’Atlantico dovuta allo scioglimento dei ghiacciai, al maggiore afflusso di acqua dolce dall’Artico e all’aumento delle precipitazioni potrebbe essere tra le cause. Lo scioglimento che ha seguito il picco della Piccola era glaciale a metà del 1700 potrebbe aver innescato un input di acqua dolce, provocando alcuni dei primi cambiamenti che abbiamo riscontrato, alimentati in seguito dalla crisi climatica moderna.
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