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La costruzione di enormi dighe sarebbe l’unica possibilità per salvare le aree costiere europee dalle inondazioni.
Prevedere gli effetti del cambiamento climatico è una delle sfide più complesse della scienza odierna, che cerca possibili risposte attraverso modelli e analizzando poi costi e benefici (ambientali ed economici) proiettati nel futuro. Di tutti gli impatti del riscaldamento globale, l’innalzamento del livello del mare è forse il meno incerto, sebbene questo non influenzi ogni parte del mondo allo stesso modo. Alcune comunità costiere sono più a rischio di altre, altre stanno già vivendo il fenomeno, ma ci sono pochi dubbi sul fatto che sia un’ipotesi altamente probabile e che interesserà tutto il pianeta, poiché il tasso di riscaldamento e di scioglimento delle calotte glaciali continua secondo un trend costante e crescente.
Secondo gli studi recenti, l’aumento del livello del mare sarà di circa un metro entro la fine del secolo, un fenomeno accompagnato da tempeste più frequenti e più intense, nel contesto generale di un incremento di eventi meteorologici estremi. Mentre gli oceani continuano a riscaldarsi, l’aumento del livello dell’acqua procede lentamente, ma è possibile che il collasso delle calotte glaciali dell’Antartide o della Groenlandia possa provocare un rilascio improvviso di una quantità molto più grande di acqua. La rottura di questo fragile non-equilibrio determinerebbe un’accelerazione dell’innalzamento, con costi ambientali ed economici enormi. Affrontare un tale impatto in breve tempo sarà molto più complesso piuttosto che intervenire adesso, come evidenzia il team di ricercatori europei nel nuovo studio pubblicato su Nature Communications. Si tratterebbe di far fronte a inondazioni di intere città costiere, quando è possibile arginare il fenomeno – lo scenario non è promettente in alcun caso – investendo da subito nella resilienza.
In Europa, costruire delle difese marittime adeguate è un’operazione che interesserebbe il 70% delle coste, ma i ricercatori sostengono che a lungo termine avrebbe comunque dei costi inferiori rispetto a quelli causati dalle inondazioni. Diverse ricerche hanno già valutato progetti simili, che prevedono la costruzione di imponenti dighe nell’area nordeuropea attraverso investimenti enormi (https://www.meteoindiretta.it/giornale-meteo/34336/due-enormi-dighe-per-proteggere-il-nord-europa-dallinnalzamento-del-livello-del-mare/). Al di là dei costi, sembrerebbe l’unica soluzione per gran parte delle aree costiere a rischio. Alcune regioni, se predisposte, potrebbero ricorrere alla ricreazione di paludi o dune, un’opzione che ridurrebbe l’impatto sulla fauna marina provocato dalle difese di cemento in mare. Prevedere le inondazioni fluviali attraverso modelli meteorologici migliorati aiuterebbe poi ad intraprendere azioni tempestive ed evitare danni ingenti, ma resta ancora complicato prevedere questi eventi con precisione.
Una possibilità che prima o poi andrà considerata, ove possibile, è il ritiro dalle zone costiere. Le isole del Pacifico, tra i luoghi più cruciali della crisi climatica, stanno già facendo i conti con la realtà dell’innalzamento del livello del mare e sono in corso progetti per il reinsediamento delle comunità più a rischio in aree sicure (https://m.meteoindiretta.it/giornale-meteo/34286/clima-la-nuova-zelanda-dona-2-milioni-di-dollari-per-gli-sfollati-delle-fiji/). È una questione che anche l’Europa e gli altri continenti si troveranno ad affrontare, prima o poi, e la scelta più adeguata sarebbe quella di mitigare in tempi plausibili gli impatti peggiori, partendo dalla riduzione delle emissioni, per sperare in un futuro quanto più vivibile è possibile.
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