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Il 20% del territorio è già in pericolo, ma soltanto il 10% dei cittadini lo ritiene un problema.
Nel mondo circa 3 miliardi di persone oggi vivono in aree a rischio desertificazione, un fenomeno in forte crescita che attualmente interessa il 29% del territorio mondiale. Di questa percentuale fa parte anche una buona porzione del nostro Paese, con il 20% del territorio nazionale diviso tra Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Secondo Legambiente, le isole sono le più minacciate: la Sicilia con il 42,9% del territorio a rischio e la Sardegna con il 52%, di cui l’11% già colpito.
Il rischio di desertificazione in Italia era già stato identificato nel 2018 dalla Corte dei conti europea come tra i più rilevanti in Europa, nonostante la variabilità dei dati. L’erosione del suolo, la scarsità idrica e l’aumento delle temperature favoriscono il rischio di desertificazione, e in Italia non ci sono stati miglioramenti negli ultimi anni. Al contrario, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) avverte che “ci sono aree in cui, a causa dei cambiamenti climatici e di pratiche agronomiche forzate, la percentuale di sostanza organica, contenuta nel terreno, è scesa al 2%, soglia per la quale si può iniziare a parlare di deserto”.
Nonostante i dati allarmanti, i cittadini italiani non sembrano preoccupati o al corrente della situazione. Lo dice l’indagine Ipsos condotta a dicembre 2019 per Finish, su un campione di 1000 famiglie italiane. Soltanto il 10% degli intervistati esprimeva preoccupazione per il rischio di desertificazione, percentuale che saliva fino al 19% guardando al futuro, con una generale considerazione del fenomeno come non grave.
A livello europeo, oltre al nostro Paese la situazione è considerata critica in Spagna (44%), in Portogallo (33%), in Grecia (20%), a Cipro (57%), in parte della Romania e della Bulgaria. La questione è legata ad una serie di fattori: il cambiamento climatico ha aumentato le temperature, modificato le precipitazioni, incrementato il rischio di siccità, riducendo la disponibilità idrica per il suolo e la vegetazione. Ma influiscono significativamente le attività umane, dalle pratiche agricole dannose alla cattiva gestione delle risorse naturali e dell’acqua, questione particolarmente rilevante in Italia, dove ogni anno vengono sprecati 4,5 miliardi di metri cubi di acqua potabile.
Secondo i dati della Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche (Utilitalia), servirebbero investimenti di 7,2 miliardi di euro per riparare le falle nel sistema industriale e nel servizio idrico del nostro Paese. Anche riguardo alla crisi climatica la situazione è di completo stallo, con un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici fermo dal 2017 e una scarsa sensibilizzazione della popolazione nazionale al problema.
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