Ecco come la deforestazione ha cambiato la biodiversità negli ultimi 150 anni

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L’impatto della perdita di foreste sulle specie può manifestarsi anche a distanza di decenni, influendo sulla capacità di riproduzione e adattamento.

Per circa 360 milioni di anni, le foreste della Terra sono cambiate a ritmo di uragani, incendi e catastrofi naturali. Ma dal 17° secolo in poi, gli umani hanno iniziato a sostituire vaste aree di foresta con intere città e allevamenti. Nonostante il ritmo della deforestazione globale risulti in rallentamento nell’ultimo secolo, si tratta di un fenomeno ancora molto allarmante e costante, che interessa ogni parte del mondo in modo differente. Mentre le foreste boreali si stanno espandendo più a nord del mondo a causa del riscaldamento globale, le foreste tropicali si stanno riducendo a ritmi sempre più preoccupanti, quelle temperate hanno subito un tasso di distruzione già secoli fa, e via dicendo.

Man mano che la copertura arborea globale è variata nel tempo, anche la biodiversità ha subito molte modifiche. Le specie che vivono oggi sul pianeta non sono le stesse del passato: molte si sono dovute adattare ai cambiamenti del loro habitat, altre sono scomparse del tutto. L’80% delle specie animali esistenti dipende dalle foreste del mondo e una costante riduzione di queste ultime rappresenta una grave minaccia per la biodiversità.

Sorprendentemente, la perdita di foreste non sempre ha significato un calo della biodiversità, piuttosto ha generato notevoli cambiamenti. Dalle indagini effettuate in 6.000 località, risulta che negli ultimi 150 anni la velocità di questi cambiamenti è aumentata di pari passo con la riduzione delle foreste, intervenendo sulla distribuzione e la popolazione delle specie. Gli effetti della perdita di foreste non erano uniformi in tutti i luoghi: eventi simili hanno portato al declino o l’aumento delle specie a seconda delle aree colpite. Tra le specie risultate in crescita conseguentemente alla perdita di foreste sono state individuate cicogne bianche, lucernari eurasiatici, cervi rossi e volpi rosse, ovvero specie più adattabili che si sono evolute nonostante i disturbi dell’attività umana.

Talvolta i cambiamenti nella biodiversità sono giunti più avanti nel tempo, anche attraverso generazioni. In generale, maggiore è la longevità di una specie, animale o vegetale, maggiore è il tempo necessario per l’alterazione. I falchi dalla coda rossa, ad esempio, risultavano in grado di allevare i loro piccoli nonostante la deforestazione, ma questi avevano poi difficoltà a prosperare nell’habitat in riduzione. In tal senso, gli effetti della perdita di foreste possono apparire anche decenni dopo un evento saliente di deforestazione, manifestandosi nella difficoltà degli animali a riprodursi.

L’impatto ritardato della deforestazione suggerisce quanto sia importante monitorare piante e animali su un lasso temporale più lungo, rispetto ad un determinato periodo. Una prospettiva più ampia offre maggiori possibilità di impegnarsi per preservare la biodiversità a lungo termine e comprendere in che modo i cambiamenti incidono direttamente sui benefici che le foreste offrono alle persone, come l’aria pulita e la capacità di contenimento del riscaldamento globale.

Fonte: The Conversation.

Articolo di Erika del 20 Giugno 2020 alle ore 11:27

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