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L’esplosione del vulcano Okmok causò un lungo periodo di freddo estremo, che potrebbe aver contribuito alla caduta della Repubblica di Roma e del regno Tolemaico in Egitto.
Per secoli la fine dell’antica Repubblica di Roma è stata avvolta nel mistero, raccontata da fonti scritte come un periodo insolitamente freddo, buio e nefasto per la salute e per i raccolti, lasciando interdetti gli esperti per lungo tempo. Il vuoto storico lasciato da quell’evento potrebbe trovare risposta in un nuovo studio pubblicato su Proceedings of National Academy of Sciences (PNAS) e condotto da un team internazionale di scienziati e storici, che ha trovato prove di un possibile collegamento tra il clima estremo dell’Antica Roma repubblicana e l’eruzione del vulcano Okmok in Alaska.
Sebbene i due eventi si siano verificati in due zone contrapposte del pianeta, l’impatto climatico della mega-eruzione dell’Okmok potrebbe aver ragionevolmente messo fine alla Repubblica Romana, ma anche al Regno Tolemaico in Egitto. Secondo le testimonianze scritte del 44 a.C., dopo l’assassinio di Giulio Cesare, la regione mediterranea fu colpita da un freddo estremo, carestia, malattie ed enormi perdite nell’agricoltura. L’ipotesi che il fenomeno fosse riconducibile ad un’eruzione vulcanica era già stata considerata dagli storici, ma non erano mai state trovate prove sufficienti per identificare l’accaduto.
L’eruzione dell’Okmok nelle Isole Aleutine fu una delle peggiori dell’epoca: la grossa esplosione generò un cratere largo circa 10 km, le polveri rilasciate oscurarono il cielo per un lungo periodo, risalendo nella bassa stratosfera artica e diffondendosi nell’emisfero settentrionale. “Possiamo assolutamente affermare che questa eruzione vulcanica ha generato un clima estremo”, spiega Joseph McConnell, glaciologo del Desert Research Institute e autore principale dello studio. La regione ha risentito degli effetti del clima per i due anni successivi, che hanno potenzialmente contribuito al declino della Repubblica Romana, secondo i ricercatori.
Prove della grande eruzione di quel periodo erano state trovate precedentemente nelle carote di ghiaccio in Groenlandia, nei picchi delle particelle di solfato che ostacolano la luce solare, e successivamente analizzate dal team di McConnell. La posizione e il periodo esatto dell’eruzione però restavano un mistero. Le misurazioni degli isotopi di zolfo hanno anche chiarito che le particelle erano state esposte alle radiazioni ultraviolette nella stratosfera, dove potevano diffondersi e indugiare per molti mesi o anni prima di tornare sulla Terra.
A mostrare la corrispondenza con il vulcano Okmok, attivo ancora oggi, sono stati i 35 frammenti di vetro vulcanico trovati in un altro nucleo di ghiaccio, non ricollegabili ad altri vulcani attivi di quel periodo. Le simulazioni fatte in seguito hanno poi mostrato che gli aerosol erano potenzialmente in grado di raffreddare l’Europa meridionale e l’Africa settentrionale fino a 7 °C.
Alcuni studiosi sono però scettici su questa correlazione e ritengono che la fine della repubblica fosse già in corso prima dell’eruzione. Secondo Guy Middleton, archeologo della Charles University, “i problemi della repubblica erano politici, di origini profonde”, non relativi ad una crisi di sussistenza. L’evento di raffreddamento potenzialmente enorme non avrebbe necessariamente portato al collasso della società mediterranea, ma piuttosto avrebbe avuto risposte diverse in base a porzioni di territorio più piccole.
Resta interessante però notare la gravità degli effetti del clima sulla società, come riportano le fonti egiziane sulla mancata inondazione del Nilo dopo l’eruzione e sulla carestia e le malattie. A tal proposito, lo storico Joe Manning dell’Università di Yale sottolinea che “gli effetti del clima furono un grave shock per una società già stressata in un momento cruciale della storia”.
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