Pioggia di critiche per l’impianto nucleare galleggiante made in Russia, che mette in serio pericolo gli ecosistemi marini e le persone.
Ci sono voluti circa 20 anni per realizzare l’Akademik Lomonosov, il secondo impianto nucleare galleggiante al mondo – dopo la Sturgis degli USA – pensato per fornire energia elettrica alle piattaforme petrolifere. Soprannominata “Chernobyl galleggiante” o “dei ghiacci”, la nave russa raggiunge i 144 metri di lunghezza e pesa 21.500 tonnellate. Trasporta due reattori nucleari da 35 megawatt ciascuno – firmati Rosatom – in grado di fornire energia ad una potenza simile a quella di un impianto eolico, ma con una sostanziale differenza nell’impatto ambientale.
Il viaggio intrapreso dall’Akademik Lomonosov, che ha attraversato i mari più ostili del nord per un totale di quasi 3000 miglia, poteva facilmente trasformarsi in un disastro ambientale dalla portata di Chernobyl, come appunto la chiamano gli scettici. La partenza è avvenuta il 23 agosto da Murmansk, in Russia, per raggiungere dopo 17 giorni il primo luogo di stallo, Pevek, all’interno dell’area di Chukotka, in Giappone. Il percorso, scortato dai rompighiaccio, è stato favorito dalle condizioni climatiche in tutto il passaggio nell’area siberiana.
Secondo la società nucleare russa Rosatom, la nuova operazione apporterebbe numerosi benefici, distribuendo energia a 50.000 persone e andando a sostituire le vecchie centrali elettriche a carbone. Tra gli intenti sembrerebbe esserci quello di ridurre in tal modo l’effetto serra, nonché il rischio di un incidente nucleare, il tutto in totale sicurezza e garantito da materiali e tecnologie “a prova di tsunami” – come afferma uno dei principali ingegneri del progetto Vladimir Irminku.
Non la pensa così Greenpeace – come una schiera di scettici che hanno messo fortemente in dubbio la sicurezza dell’impianto – che ha definito l’operazione “un modo troppo pericoloso e costoso per acquisire potere”. Qualsiasi impianto nucleare produce scorie radioattive ed è soggetto a incidenti, spiega il portavoce Rashid Alimov. L’Akademik Lomonosov potrebbe non essere così resistente alle intemperie e la possibilità che l’Artico incontaminato sia colpito da un incidente nucleare su larga scala è fonte di enorme preoccupazione.
Non sono rari, peraltro, gli incidenti di questo tipo, talvolta dalle dinamiche poco chiare e che coinvolgono numerose vittime. L’ultimo è avvenuto ad agosto presso la base nucleare di Nenoska e ha coinvolto 5 persone. Altre 14 sono morte soltanto il mese prima, con l’esplosione del sottomarino Losharik, e sono piuttosto comuni le perdite di materiale radioattivo da parte di mezzi navali, sebbene molte siano di natura misteriosa. Da non dimenticare è la tragica esplosione del sottomarino Kursk nel 2000, che uccise tutti i 118 membri dell’equipaggio.
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