Secondo uno studio, per bilanciare le nostre emissioni di carbonio e garantire il benessere globale occorre molta meno energia di quella che sfruttiamo, anche nei paesi in via di sviluppo.
Per oltre 30 anni si è cercato di stimare la quantità di energia richiesta dalle società per soddisfare le necessità di tutti, una domanda che acquisisce sempre maggiore importanza con il cambiamento climatico. Nella crisi climatica è essenzialmente intrinseco il dibattito sul modo in cui generiamo l’energia necessaria per l’umanità e su quanta effettivamente ne occorre per vivere una vita dignitosa.
Indubbiamente, il nostro pianeta sta risentendo della nostra costante ricerca di benessere, per gran parte a causa dei paesi occidentali, e ancora più certo è che i consumi di questi andrebbero notevolmente ridotti. Ma, esattamente, quanto spazio di manovra c’è per ridurre i consumi nelle regioni più povere al mondo? I paesi in via di sviluppo sono in grado di ridurre la loro produzione di energia – quindi le emissioni di carbonio – migliorando al contempo l’accesso ai diritti umani di base come l’assistenza sanitaria e l’istruzione? O devono effettivamente produrre più energia, come hanno sostenuto alcuni?
Secondo il nuovo studio di un team di ricercatori austriaci, pubblicato su Nature Energy, l’energia che produciamo globalmente è più che sufficiente per consentire a tutti gli esseri umani sulla Terra di vivere una vita dignitosa, basata sulla qualità di tre fattori principali: la salute, l’alimentazione e l’educazione. I dati mostrano che per bilanciare le nostre emissioni di carbonio e garantire il benessere globale occorre molta meno energia di quella che sfruttiamo, senza che nessuno viva necessariamente in povertà.
“Le persone si sono a lungo preoccupate che lo sviluppo economico e la mitigazione del clima non siano compatibili, che la crescita necessaria per portare miliardi di persone fuori dalla povertà renderebbe impossibile ridurre le emissioni nette a zero”, ha affermato l’analista di sistemi energetici Narasimha Rao. Ma i risultati della ricerca mostrano un’altra verità, secondo la quale il fabbisogno di energia per il giusto tenore di vita, anche nei paesi in via di sviluppo, è estremamente basso.
Per spiegare la questione, il team si è basato su tre economie diverse: Brasile, Sudafrica e India. Sebbene non sia un lungo elenco di paesi, si tratta di realtà rappresentative in termini di clima, cultura, risorse energetiche, servizi igienico-sanitari, accesso ai trasporti. In India, ad esempio, la quantità di energia consumata nel 2015 è stata di circa 17,5 gigajoule pro capite. Ma erano necessarie solo 7 gigajoule circa a persona per provvedere ai bisogni di base, per un massimo di 12-15 gigajoule. Ciò significa che anche l’India potrebbe ridurre significativamente le emissioni, migliorando i trasporti pubblici o usando le risorse locali per le infrastrutture.
“Non ci aspettavamo che il fabbisogno energetico per una vita minimamente decente sarebbe stato così modesto, anche per paesi come l’India in cui esistono grandi lacune”, afferma Rao. E lo stesso è stato provato per Brasile e Sudafrica. È chiaro che si tratta di paesi dove molte comunità si trovano in regioni largamente interessate dagli effetti del cambiamento climatico, il che implica una perdita maggiore di risorse dovuta alla siccità, all’innalzamento del mare o a eventi meteorologici estremi. La questione della gestione della produzione di energia nei paesi in via di sviluppo è pertanto molto complicata, ma la ricerca dimostra che tutte le nazioni del mondo possono apportare modifiche per ridurre le emissioni di carbonio e al contempo soddisfare le esigenze della popolazione.
“Il nostro studio suggerisce che dobbiamo misurare il progresso della società in termini di queste molteplici dimensioni, non solo del reddito, e dovremmo anche prestare attenzione alla distribuzione della crescita nei paesi in via di sviluppo”, afferma Rao.
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