Cosa è successo quando un vulcano indonesiano ha “congelato” l’atmosfera nel 2018

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La violenta eruzione del vulcano Anak Krakatau causò la formazione di 100.000 fulmini per 6 giorni, con una temperatura in alta quota che raggiunse i -80°C.

L’eruzione del vulcano indonesiano Anak Krakatau del 22 dicembre 2018 viene ricordata soprattutto per le conseguenze drammatiche, poiché il collasso di una parte dell’edificio vulcanico generò uno tsunami che uccise oltre 400 persone sulle vicine coste di Sumatra e Java. A parte gli effetti disastrosi, l’evento è stato oggetto di studio per la sua straordinarietà, che ha visto l’atmosfera soprastante congelarsi per quasi una settimana e una frenesia di fulmini mai registrata prima. Lo studio, condotto da un team internazionale di cui ha fatto parte l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), è stato pubblicato su Scientific Reports, e descrive cosa è accaduto durante il fenomeno violento e singolare.

L’eruzione del vulcano è stata di tipo esplosivo, con il rilascio di un’enorme nube vulcanica. Secondo i dati satellitari e i modelli utilizzati, la colonna eruttiva ha raggiunto un’altezza di 16-18 chilometri, spinta dal calore e la potenza dell’attività vulcanica, generando una violenta tempesta. Nelle aree tropicali il fenomeno è normale per via dell’umidità, che può favorire il trasferimento di calore e innescare temporali vulcanici, ma il prolungamento oltre un giorno è considerato una rarità.  

Nel caso dell’Anak Krakatau, la tempesta è durata 6 giorni, generando circa 10 milioni di tonnellate di ghiaccio in alta quota, dove la temperatura ha raggiunto i -80°C. “Questa imponente quantità di ghiaccio mantenuta nell’alta troposfera per giorni, assieme alle rapide correnti ascensionali, ha provocato la formazione di un numero enorme di fulmini, fino a 72 al minuto”, afferma Stefano Corradini dell’Ingv. “Eventi simili sono estremamente rari anche per i temporali meteorologici”.

In quei giorni sono stati registrati circa 100.000 fulmini, la cui frequenza si è rivelata poi legata all’altezza del pennacchio di fumo, spiegano i ricercatori. In sostanza, “maggiore è la frequenza di flash, maggiore è il pennacchio. Un dato che potrebbe essere importante e utile per l’aviazione”, afferma Andrew Prata del Supercomputing Center di Barcellona. Lo studio della correlazione tra fulmini e nubi vulcaniche povere di cenere potrebbe inoltre rivelarsi utile per il monitoraggio delle eruzioni –  quindi della loro pericolosità – e per la sicurezza delle rotte aeree.

Articolo di Erika del 11 Marzo 2020 alle ore 09:25

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