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E’ la prima stima globale dei frammenti di plastica che si depositano sui fondali, esclusi quelli che galleggiano in superficie.
È ormai noto che la plastica è in grado di raggiungere davvero ogni angolo del pianeta, dal ghiaccio marino dell’Antartide, agli alti oceani artici, alla profondissima Fossa delle Marianne. Nessun luogo sembra essere immune a questa grave forma di inquinamento, generato da un prodotto di origine antropica destinato a diventare un fossile. Per la prima volta, i ricercatori hanno fornito una stima globale delle microplastiche presenti sui fondali marini: ce ne sarebbero fino a 14 milioni di tonnellate.
La stima non comprende l’inquinamento da plastica sulla superficie degli oceani, anzi potrebbe essere fino a 35 volte superiore. Si prevede inoltre che la produzione di plastica e l’inquinamento aumenteranno nei prossimi anni, nonostante gli sforzi di sensibilizzazione della comunità scientifica e dei media sull’impatto di questa materia sugli ecosistemi marini, la fauna selvatica e la salute umana.
Il deposito delle microplastiche sui fondali oceanici è una delle questioni più allarmanti. La permanenza di questi rifiuti nelle acque profonde arriva a danneggiare le specie marine che si nutrono in prossimità dei fondali, entrando nella rete alimentare più bassa. Ciò significa che una volta ingeriti da una varietà di fauna marina – plancton, crostacei, pesci, i frammenti risalgono la catena alimentare, passando dalle specie più piccole a quelle più grandi.
La stima delle microplastiche sui fondali marini è enorme, tuttavia si tratta di una frazione della quantità reale di plastica versata negli oceani. Ogni anno finiscono in mare 4-8 milioni di tonnellate di plastica, che si scompone in minuscoli frammenti a causa degli agenti atmosferici e delle onde, senza mai degradarsi. Gran parte della plastica scaricata in mare finisce sulle coste, ma non sappiamo con certezza quanta se ne deposita sui fondali e nei sedimenti marini.
Un team di ricercatori australiani ha raccolto campioni utilizzando un robot sottomarino nella Great Australian Bight, al largo della costa meridionale dell’Australia, a varie profondità comprese tra i 1.655 e i 3.062 metri. I 51 campioni analizzati hanno rivelato la presenza di particelle di plastica per un valore tra 0 e 13,6, una quantità 25 volte superiore rispetto alle precedenti indagini in acque profonde.
La stima sull’estensione totale degli oceani – 361.132.000 chilometri quadrati – tiene conto della dimensione e del peso medio delle particelle trovate nei campioni, sebbene questi siano limitati ad una specifica area, così da determinare un peso totale compreso tra 8,4 e 14,4 milioni di tonnellate in tutto il mondo. Va considerato che i campioni sono stati prelevati da un’area piuttosto remota e lontana dai centri abitati, per cui si tratta di una stima prudente.
Il modo in cui le microplastiche riescono a viaggiare per moltissimi chilometri e raggiungere i luoghi più remoti è tuttora oggetto di studio. È interessante notare, sottolinea lo studio, come la plastica si depositi in aree diverse non solo a seconda delle correnti, ma anche della composizione e della morfologia del territorio. Anche gli organismi marini fungono da vettore: le comunità microbiche e i molluschi, ad esempio, possono abitare la cosiddetta “plastisfera” marina – ecosistemi che vivono in ambienti di plastica, impedendo ai frammenti di galleggiare e trascinandoli in profondità.
Il tipo di rifiuto spesso determina se affonderà o finirà sulle coste. Molti rifiuti come frammenti di plastica, tappi di bottiglie e involucri di cibo sono comuni sulla terraferma, ma rari sui fondali, costellati molto più spesso da oggetti da pesca, corde e sacchetti di plastica. Lo studio ha evidenziato inoltre come spesso il numero di frammenti di plastica era generalmente più alto nelle aree in cui c’erano anche più rifiuti galleggianti in superficie, il che suggerisce che il deposito sui fondali sia per gran parte lo step successivo per gli hotspot di microplastiche superficiali.
La ricerca è stata pubblicata su Phys.org.
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