Nove confini che dovremmo rispettare per mantenere la Terra abitabile

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Fino a che punto possiamo spingere il pianeta oltre le capacità di soddisfare i bisogni dell’umanità? Quali sono i “limiti operativi di sicurezza” per mantenere la stabilità del sistema Terra?

La vita sulla Terra e la civiltà umana si fondano sul delicato equilibrio di sistemi biogeochimici essenziali. La specie umana, però, è riuscita a destabilizzare questi complessi meccanismi terrestri, mettendo in pericolo quello che possiamo identificare come lo “spazio operativo sicuro per l’umanità”.

Gli scienziati hanno identificato nove confini che non possiamo oltrepassare senza mettere a rischio le nostre società: cambiamento climatico, perdita di biodiversità, acidificazione degli oceani, impoverimento dell’ozono, inquinamento atmosferico da aerosol, uso di acqua dolce, flussi biogeochimici di azoto e fosforo, cambiamento del sistema terrestre e rilascio di nuove sostanze chimiche. Tuttavia, oggi l’umanità convive già con il superamento di almeno quattro di questi confini (cambiamento climatico, perdita di biodiversità, cambiamento del sistema terrestre e squilibrio di azoto e fosforo).

Prima della rivoluzione industriale, la temperatura superficiale del nostro pianeta oscillava di 1 °C circa rispetto alla media di un periodo di 12.000 anni addietro. Ciò significa che le società umane avanzate si sono sviluppate durante un periodo di stabilità terrestre senza precedenti. Oggi, a causa delle concentrazioni di gas serra in atmosfera cresciute a dismisura, l’aumento della temperatura globale è visibile a distanza di pochi decenni. Negli ultimi due secoli, l’umanità ha spinto l’acceleratore al di fuori della zona climatica “sicura” e delle condizioni consone alla disponibilità di risorse del pianeta.

Limiti operativi di sicurezza

Il direttore fondatore dello Stockholm Resilience Center in Svezia, Johan Rockström, aveva identificato insieme ad un team internazionale di scienziati i nove confini per uno “spazio operativo sicuro per l’umanità” nel 2009, pubblicando il Planetary Boundaries Framework, che delineava i processi chiave influenzati dall’attività umana che minacciano l’equilibrio del Sistema Terra.

Quali sono i limiti operativi di sicurezza del nostro pianeta e quali cambiamenti possiamo imporgli prima di innescare un danno ambientale catastrofico?

Dalla stabilità dei nove processi chiave dipende l’equilibrio terrestre che ha permesso alle civiltà umane di prosperare nei secoli, attraverso l’atmosfera, gli oceani, gli ecosistemi. Compromettendo anche parte di questi processi, essenzialmente legati tra loro, esiste il rischio di condurre il Sistema Terra ad un punto di non ritorno, in una condizione che non è stata sperimentata per l’intera esistenza umana e che non avremmo più i mezzi per affrontare.

Si tratta di stime, ma non sappiamo con esattezza per quanto tempo possiamo ancora continuare a spingere questi confini chiave planetari prima che le pressioni combinate portino a cambiamenti e danni irreversibili. Non ci sono prove che le società moderne possano esistere, avverte Rockström, per non parlare di prosperare, in condizioni sostanzialmente diverse dall’Olocene.

Antropocene

Nell’ambito del Planetary Boundaries Framework, le dinamiche dei processi biogeochimici terrestri, complessi e interconnessi tra loro, possono essere pensate come percorsi o traiettorie, che si intrecciano tra diversi stati stazionari. Queste traiettorie possono essere alterate da punti di svolta, che conducono da uno stato stazionario a un altro (in modo simile a un’auto che cambia marcia). A causa di una serie di complessi processi di feedback, lo stato può indebolirsi o rinforzarsi, mandando il pianeta verso una condizione completamente nuova.

Il cambiamento climatico, il più noto dei nove confini planetari che stiamo oltrepassando, offre un buon esempio di come funziona questo processo di equilibrio. Oggi corriamo il rischio di “innescare elementi di ribaltamento nel Sistema Terra verso una ‘Hothouse Earth’ da cui sarebbe molto difficile recuperare il clima preindustriale”, ha spiegato Steven Lade, ricercatore presso il Centro di resilienza di Stoccolma. Tuttavia, “con una rapida decarbonizzazione potremmo forse raggiungere una ‘Terra stabilizzata’”, ha aggiunto, mantenendo il nostro clima entro la finestra sicura delle condizioni a cui l’umanità si è adattata negli ultimi 12.000 anni.

Lo straordinario successo della civiltà umana, nell’agricoltura, il benessere e la produzione industriale, è stato possibile grazie ad un abuso di risorse che ha alterato radicalmente molti processi fondamentali per mantenere stabili le condizioni sulla Terra, spingendoci verso una nuova epoca che i geologi chiamano Antropocene.

L’epoca “umana” si contraddistingue soprattutto per il rapido aumento delle emissioni di gas serra, cambiamento dell’uso del suolo su larga scala, estrema perdita di biodiversità, massiccio consumo globale e inquinamento causati dal rapido avanzamento della tecnologia e dalla crescita demografica. Ma questa definizione deve essere un avvertimento, afferma Rockström, sul limite della capacità biofisica terrestre che stiamo raggiungendo.

Il cambiamento climatico indotto dall’uomo da solo è in grado di allontanare la Terra dalle condizioni di stabilità. “Allo stesso modo, se continuiamo con la nostra estinzione di massa, perdendo sempre più specie, dal fitoplancton ai predatori, arriveremo a un punto in cui l’intero sistema collassa”.

Esistono prove evidenti che ci troviamo già nel mezzo di un’estinzione di massa globale: nel 2019 la Piattaforma intergovernativa di politica scientifica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici (IPBES) ha riferito che il 25% delle piante e degli animali valutati – per un totale di 1 milione di specie in tutto il mondo – è minacciato di estinzione. Non sappiamo con esattezza quale perdita di biodiversità possa essere tollerata dagli ecosistemi prima di innescare un cambiamento irreversibile, ma sappiamo che questo fenomeno conduce ad una serie di alterazioni complesse che interessano numerosi aspetti del sistema.

Gli ecosistemi sulla Terra forniscono una gamma sorprendente di servizi naturali: impollinazione, controllo dei parassiti, regolazione delle inondazioni, prevenzione dell’erosione, aria e acqua pulite, fornedoci cibo, biocarburanti, materiali e medicine, benefici che potrebbero iniziare a scomparire. In questo momento, secondo l’IPBES, abbiamo tassi di estinzione davvero elevati e in continuo aumento. Secondo il Living Planet Index (LPI) del WWF, le popolazioni di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci sono diminuite del 68% dal 1970. Inoltre, una volta che una specie si avvicina all’estinzione, non sono molte le possibilità di salvarla.

Campanelli d’allarme

Negli ultimi decenni, secondo gli esperti, abbiamo già assistito agli impatti significativi della nostra alterazione del sistema terrestre. Ne sono un esempio la calotta glaciale della Groenlandia e dell’Antartide occidentale, il cui scioglimento è accelerato dagli anni ’90, suggerendo che queste gigantesche riserve di ghiaccio potrebbero essere entrate in un nuovo stato di ritiro sostenuto e crescente, dopo molti secoli di stabilità. Ciò potrebbe segnare l’inizio di un punto di non ritorno, con il rischio di un drammatico innalzamento del livello del mare – fino a 65 metri.

Gli scienziati prevedono che la regione artica potrebbe diventare quasi del tutto priva di ghiaccio già nel 2035, stando al trend di scioglimento attuale, senza alcuna certezza di quali cambiamenti estremi potrebbero verificarsi.

Altri campanelli d’allarme di un possibile punto di svolta del cambiamento climatico includono siccità estreme, ondate di calore, tempeste e cicloni tropicali sempre più frequenti ed intensi. Il bilancio dei disastri naturali legati al clima sta infatti aumentando anno dopo anno, con costi economici rilevanti, vittime e ulteriori danni all’ambiente.

Circuiti di feedback

Il rischio, secondo gli scienziati, è che molti di questi cambiamenti possano innescare circuiti di feedback positivi che contribuirebbero ulteriormente a raggiungere uno stato irreversibile: il continuo scioglimento della calotta glaciale artica, ad esempio, potrebbe alterare la temperatura e la salinità della superficie oceanica, innescando una potenziale transizione nei sistemi di circolazione oceanica come l’Atlantic Meridional Ocean Circulation (AMOC), che potrebbe a sua volta alterare drasticamente il clima globale e persino accelerare la perdita della calotta glaciale dell’Antartico orientale.

Teoricamente, alcuni di questi circuiti di feedback potrebbero rivelarsi benefici, con un effetto di bilanciamento del clima terrestre o su altri confini planetari. La risposta sul clima futuro sta nel circuito di feedback che avrà la meglio, ma alcuni di questi potrebbero innescare cambiamenti più complicati. “L’intero Sistema Terra è un complesso sistema autoregolante”, spiega Rockström, “se ne spingi uno [confine planetario] troppo lontano, può precipitare come un domino e avere un impatto sugli altri”.

Nel bacino amazzonico, ad esempio, la massiccia deforestazione riduce l’apporto di acqua rilasciata nell’aria dalle foglie delle piante, principale fonte di precipitazioni nell’area. Con meno piogge e siccità più estreme, la foresta pluviale amazzonica potrebbe arrivare a trasformarsi in una savana degradata, con profonde implicazioni per l’intero pianeta. La perdita di copertura arborea, che funge da stoccaggio di CO2, contribuirebbe al rilascio di emissioni, in un circolo vizioso che si auto-moltiplica.  

“È abbastanza frustrante dover ammettere che non comprendiamo ancora appieno le interazioni fondamentali tra i confini planetari”, ha detto Rockström. Anche se saremo in grado di riportare il sistema climatico in uno spazio operativo sicuro, ha aggiunto, “a quel punto potremmo aver innescato così tanto deperimento delle foreste e così tanto scioglimento del permafrost […] che il pianeta potrebbe aver già scelto un altro percorso ”- un’altra traiettoria non favorevole alla civiltà umana.

Cambiamento dei sistemi alimentari

Allontanare il pianeta da una nuova traiettoria vuol dire in primo luogo ridurre l’uso dei combustibili fossili e delle concentrazioni di gas serra. Ma ancora più urgente, secondo gli esperti, è cambiare i nostri sistemi alimentari e le nostre abitudini di consumo.

Oggi la produzione alimentare globale rappresenta quasi il 25% delle emissioni di gas serra, è la causa principale del consumo di suolo, una delle maggiori fonti di inquinamento da azoto e fosforo e genera un’enorme domanda di acqua dolce. Poiché produce grandi emissioni di carbonio, contribuisce anche all’acidificazione degli oceani, che è uno dei 9 confini planetari.

La trasformazione del sistema alimentare insieme alla transizione energetica ci porterebbero molto indietro nello spazio sicuro, osserva Rockström. Nient’altro consentirebbe in futuro di nutrire la popolazione mondiale in costante aumento in uno scenario di riscaldamento globale. A beneficiarne inoltre non sarebbe soltanto il clima, ma anche la sicurezza alimentare e la salute.

Priorità politiche

I prossimi anni sono considerati cruciali per gli impegni che determineranno se resteremo o meno entro i confini planetari. Nel 2021 sono previsti tre importanti incontri internazionali dove la comunità globale potrà riunirsi per concordare le misure da adottare nell’ottica di una traiettoria di stabilità a lungo termine: la Convenzione sulla diversità biologica (CBD) della Conferenza delle parti a Kunming, in Cina, la Conferenza sui cambiamenti climatici (COP26) a Glasgow e il Vertice delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari a Roma.

Quest’anno ci ricorda soprattutto due questioni fondamentali: il fallimento dei precedenti vertici globali e il poco tempo a disposizione per intervenire sulle sorti del pianeta.

L’urgenza di obiettivi più ambiziosi e i dati che non accennano ad un’inversione di rotta oggi non sono incoraggianti, senza contare la crisi legata alla pandemia globale. Ma c’è un dato che offre speranza e riguarda il primo confine planetario individuato: l’esaurimento dello strato di ozono.

Nel 1987, le nazioni del mondo hanno riconosciuto l’urgenza e la validità della scienza e hanno abbracciato i requisiti politicamente vincolanti del Protocollo di Montreal. I provvedimenti hanno favorito la riduzione del buco dell’ozono, al punto che nel 2050 lo strato potrebbe essere totalmente ripristinato. Allo stesso modo, la cooperazione internazionale nei confronti dei cambiamenti climatici e della biodiversità potrebbe consentire di invertire la tendenza attuale e riportare la Terra su una traiettoria stabile.

I nove confini planetari

Il Planetary Boundaries Framework, aggiornato l’ultima volta nel 2015, definisce nove processi chiave del Sistema Terra e stabilisce confini di sicurezza per le attività umane.

Cambiamento climatico: l’aumento delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera sta portando ad un aumento delle temperature globali. Abbiamo superato il limite di sicurezza di 350 parti per milione (ppm) di CO2 nel 1988. Nel 2020, i livelli erano di 417 ppm.

Nuove entità: sostanze chimiche, materiali e altre nuove sostanze nocive (come la plastica), nonché sostanze presenti in natura come metalli pesanti e materiali radioattivi rilasciati dalle attività umane. Ogni giorno rilasciamo nell’ambiente decine di migliaia di sostanze sintetiche, spesso con effetti sconosciuti. Questi rischi sono esemplificati dal pericolo rappresentato dai CFC per lo strato di ozono o dal DDT per la biodiversità.

Impoverimento dell’ozono stratosferico: l’esaurimento dell’O3 nella stratosfera a causa di inquinanti chimici è stato scoperto per la prima volta negli anni ’80 e ha portato al Protocollo di Montreal del 1987 sulle sostanze che impoveriscono lo strato di ozono. Lo strato di ozono mostra ora segni di ripresa.

Aerosol atmosferici: l’inquinamento da aerosol atmosferico è dannoso per la salute umana e può anche influenzare i sistemi di circolazione dell’aria e degli oceani che influenzano il clima. Ad esempio, un grave inquinamento da aerosol nel subcontinente indiano può far sì che il sistema dei monsoni passi bruscamente a un terzo stato.

Acidificazione degli oceani: l’aumento dei livelli di CO2 in atmosfera sta incrementando il tasso di acidità degli oceani del mondo, ponendo un grave rischio per la biodiversità marina e in particolare per gli invertebrati i cui gusci si dissolvono in acque acide.

Flussi biogeochimici: abbiamo profondamente alterato i cicli naturali di azoto e fosforo del pianeta applicando questi nutrienti vitali in grandi quantità ai terreni agricoli, portando al deflusso negli ecosistemi vicini.

Uso di acqua dolce: l’agricoltura, l’industria e una popolazione mondiale in crescita stanno mettendo a dura prova il ciclo dell’acqua dolce, mentre il cambiamento climatico sta alterando i modelli meteorologici, causando siccità in alcune regioni e inondazioni in altre.

Cambiamento del sistema terrestre: i cambiamenti nell’uso del suolo, in particolare la conversione delle foreste tropicali in terreni agricoli, hanno un effetto importante sul clima a causa dell’impatto sulle concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica, sulla biodiversità, sull’acqua dolce e sulla riflettività della superficie terrestre.

Integrità della biosfera: l’integrità funzionale degli ecosistemi è un confine fondamentale del pianeta a causa dei numerosi ecoservizi che forniscono, dall’impollinazione all’aria pulita e all’acqua. Gli scienziati sono preoccupati per il rapido declino delle popolazioni di piante e animali, il degrado degli ecosistemi e la perdita di diversità genetica che potrebbe interrompere i servizi essenziali della biosfera.

Fonte: Mongabay

Articolo di Erika del 01 Aprile 2021 alle ore 17:15

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