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La nuova tecnologia consente di sfruttare il 50% dell’energia in meno rispetto ai metodi esistenti, senza l’aggiunta ulteriore di anidride carbonica in atmosfera.
Se l’obiettivo per ridurre i rifiuti di plastica deve essere quello del massimo riciclo, le notizie non sono buone. Le prestazioni dell’industria del riciclo sono infatti decisamente inferiori rispetto alle aspettative, con soltanto il 9% della plastica riciclata in totale, il 12% bruciato (con conseguenze ambientali negative) e il 79% del materiale che diventa rifiuto. Mentre si pensa a come allentare la dipendenza del mondo da questo polimero ancora essenziale, i ricercatori hanno scoperto come riutilizzare uno dei tipi più comuni di plastica, la poliolefina, per trasformarla in carburante.
“La plastica monouso implica un’enorme minaccia ambientale, ma il suo riciclaggio, in particolare delle poliolefine, si è dimostrato impegnativo”, scrivono in un nuovo documento pubblicato su Science Advances i ricercatori dell’Università del Delaware (UD). “Segnaliamo un metodo diretto per convertire selettivamente le poliolefine in combustibili liquidi ramificati, inclusi idrocarburi diesel, jet e benzina”.
Non è il primo studio in materia: si tratta di metodi utilizzati già da anni. L’obiettivo, però, è di ottenere il massimo in termini di conversione in carburante, al costo più basso e utilizzando la minor quantità di risorse. La nuova tecnologia soddisferebbe molti di questi requisiti, utilizzando il 50% di energia in meno rispetto ai metodi esistenti, sfruttando temperature relativamente alte – come in un normale forno da cucina – e soprattutto evitando l’aggiunta di anidride carbonica in atmosfera.
“I rifiuti di plastica sono un grave problema ambientale. Credo che questa ricerca possa aiutare a portare a metodi migliori di riutilizzo della plastica”, ha affermato l’ingegnere chimico Andrew Danielson, co-autore della ricerca.
Il metodo utilizzato dal team prevede un processo chimico chiamato hydrocracking, mediante il quale è possibile abbattere i legami di carbonio nella plastica, utilizzando un catalizzatore composto da minerali chiamati zeoliti e ossidi metallici misti. Questi ultimi intervengono nella scissione delle molecole di grandi dimensioni, mentre le zeoliti favoriscono la formazione di molecole ramificate, una tecnica che rende la plastica più facilmente trasformabile in un prodotto finale.
I due catalizzatori non funzionano singolarmente, ma la loro combinazione fornisce ottimi risultati, sciogliendo la plastica senza scarti, ha spiegato l’ingegnere biomolecolare dell’UD Dion Vlachos. “Questi non sono materiali esotici, quindi possiamo iniziare rapidamente a pensare a come utilizzare la tecnologia”, ha aggiunto. La nuova tecnica inoltre consente di non separare i diversi tipi di plastica, un aspetto molto utile considerando che oggi molti prodotti in plastica sono multicomponenti o miscelati.
Non si può già cantare vittoria, ovviamente: questo è un passo che affronta un solo aspetto all’interno di un quadro critico molto più ampio. Per creare un’economia circolare e risolvere il problema della plastica, dobbiamo soprattutto smettere di estrarre petrolio per produrla.
“Con l’avanzare dell’economia circolare, il mondo dovrà produrre meno materie plastiche originali perché riutilizzeremo i materiali realizzati oggi nel futuro”, ha detto Vlachos. “Vogliamo utilizzare l’energia verde per guidare i processi chimici coinvolti nella creazione di cose nuove. Ed è lì che andremo nei prossimi 10 o 20 anni”.
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