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Gran parte della foresta pluviale amazzonica ha ora iniziato a produrre una quantità di CO2 superiore rispetto a quanta ne riesce ad assorbire dall’atmosfera. L’allarme sul punto di saturazione della riserva verde di ossigeno più importante al mondo è ora realtà, secondo un nuovo studio: la deforestazione incessante e il cambiamento climatico stanno ribaltando il ruolo della foresta, che da area di stoccaggio si sta trasformando in un grande emettitore di carbonio.
Quello che chiamiamo “polmone verde” del pianeta potrebbe presto raggiungere il punto di non ritorno, con ritmi di deforestazione fuori controllo rispetto alle capacità della biomassa di immagazzinare anidride carbonica. In base al trend attuale, il più grande alleato dell’umanità nella lotta al riscaldamento globale potrebbe diventare un nemico, hanno riferito i ricercatori nel nuovo studio pubblicato su Nature.
I dati raccolti nelle foreste dell’Amazzonia hanno rivelato aspetti preoccupanti già nel corso dell’ultimo decennio. Nel sud est, in particolare, centinaia di campioni raccolti in alta quota suggerivano che l’area si stesse trasformando da “pozzo” a fonte di anidride carbonica, il principale gas serra presente oggi in atmosfera.
Il bacino amazzonico contiene circa la metà delle foreste pluviali tropicali del mondo, che sono le più efficaci nell’assorbire carbonio rispetto ad altri tipi di vegetazione. La decimazione costante di questi arbusti preclude la possibilità di una ricrescita sufficiente per bilanciare le emissioni, ma comporta anche dei significativi cambiamenti negli habitat, nell’atmosfera e nella vegetazione stessa. Il che conduce probabilmente ad un processo irreversibile.
Negli ultimi 50 anni, le foreste tropicali dell’Amazzonia si sono ridotte del 17%, principalmente per fare spazio ad allevamenti e monocolture. Generalmente le foreste vengono disboscate con il fuoco, che rilascia grandi quantità di CO2 mentre riduce il numero di alberi disponibili per assorbirla. Secondo le stime, l’Amazzonia contiene attualmente circa 450 miliardi di tonnellate di CO2 negli alberi e nel suolo. Se diventasse una fonte consistente di carbonio, affrontare la crisi climatica sarebbe ancora più complesso.
Ad alimentare il processo lo stesso cambiamento climatico, che con l’aumento delle temperature e di siccità costituisce un fattore chiave nel degrado delle foreste. Nell’Amazzonia orientale, questo aspetto si è rivelato più marcato, specialmente durante la stagione secca, emettendo molta più CO2 di quanta ne assorbisse, rivela lo studio. In generale, nell’ultimo decennio l’Amazzonia brasiliana ha rilasciato quasi il 20% in più di CO2 rispetto al decennio precedente.
L’insieme di vari fattori “mette in dubbio la capacità delle foreste tropicali di sequestrare grandi quantità di CO2 derivata dai combustibili fossili in futuro”, ha osservato Scott Denning, scienziato atmosferico della Colorado State University. Al di sopra di una certa soglia di riscaldamento globale, la foresta pluviale brasiliana potrebbe diventare una savana, con conseguenze drammatiche sia per l’enorme biodiversità che ospita, sia a livello globale.
La foresta pluviale amazzonica rappresenta uno dei cosiddetti “punti di non ritorno” nel sistema climatico, insieme alla calotta glaciale artica della Groenlandia, quella dell’Antartide occidentale, il permafrost siberiano, le piogge monsoniche nell’Asia meridionale, le barriere coralline, la corrente a getto. Si tratta di cardini essenziali del nostro pianeta, i cui cambiamenti trasformerebbero radicalmente il mondo come lo conosciamo oggi.
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