Oggi torniamo ad affrontare argomenti di didattica, concentrandoci sul descrivere uno degli strumenti più utilizzati per le previsioni a brevissimo termine: il radar.
Il radar è fondamentale per l’osservazione ed il monitoraggio delle precipitazioni su scale temporali che vanno da pochi minuti a qualche ora, e per scale spaziali che sono tipicamente regionali (max 250 km). Essendo uno strumento posto a terra non gode di tutti i vantaggi offerti dai satelliti, ma ha comodità notevoli, come quella di poter intervenire direttamente sul posto in caso di guasto.
Ma come funziona? Questo strumento era stato concepito inizialmente per scopi militari, ovvero per identificare e tracciare la presenza di aerei, troppo lontani per essere scorti ad occhio nudo. Dopo tempo che veniva utilizzato, ci si iniziò ad accorgere che sui famosi tracciati radar, che abbiamo visto sicuramente in televisione almeno una volta, comparivano delle “macchie” dovute a qualche disturbo, che potevano intralciare con la normale attività di pattugliamento dei cieli. Poco dopo si scoprì che queste macchie erano dovute alla presenza di precipitazioni, ovvero la presenza di piccole particelle sospese in aria, dette idrometeore, che potevano andare dalla pioggia alla grandine, ma anche alla neve.
Nei radar più comuni, un’antenna parabolica, simile a quelle utilizzate per ricevere il segnale televisivo dal satellite, serve contemporaneamente sia da emettitore che da ricevitore di onde. L’antenna invia un segnale impulsato nelle microonde e riceve indietro un nuovo segnale dopo un tempo molto piccolo. Se il segnale inviato, che possiamo schematizzare come un’onda, incontra qualche particella nel suo tragitto, vi rimbalza sopra, inviando una parte del segnale iniziale nuovamente verso l’antenna. Le leggi della fisica ci permettono di legare il tempo di arrivo del segnale all’antenna con la distanza dalla stessa, conoscendo la velocità di propagazione dell’impulso, ovvero la velocità della luce. Le particelle incontrate nel tragitto non sono altro che goccioline di acqua, grandine o neve. Oltre alla distanza è possibile ricavare l’intensità della precipitazione incontrata, infatti l’intensità del segnale che torna all’antenna sarà proporzionale alla quantità di goccioline contenute in un certo volume, almeno intuitivamente. Da notare però che la relazione che lega la quantità di goccioline all’intensità di precipitazione è corretta solo in pochi casi.
Ma cos’altro si può fare con un radar? Oltre a ricavare intensità e distanza della precipitazione, è possibile ricavare la velocità del sistema precipitativo, oltre al tipo di idrometeore contenute (neve, neve bagnata, pioggia…). Questi due parametri si possono ricavare con l’utilizzo rispettivamente di radar doppler, che considerano anche la frequenza dell’impulso che torna all’antenna, e di radar polarimetrici, che misurano la polarizzazione dell’onda ricevuta.
Non mi resta che rimandarvi alla sezione apposita del sito dove trovate tutti i radar Italiani, raggruppati per zona.
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