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Se vogliamo evitare di sforare il limite di 1,5 °C di riscaldamento globale dobbiamo lasciare sotto terra almeno il 90% delle riserve di carbone e il 60% di quelle di petrolio. Avremmo così il 50% delle probabilità di restare dentro quella soglia di sicurezza, secondo due nuovi studi pubblicati su Nature, che suggeriscono che la produzione delle principali compagnie di energie fossili deve calare almeno del 50% entro il 2030.
Proiettando le stime fino al 2050, lo studio dell’University College London (UCL) mostra che nei prossimi 30 anni la produzione fossile dovrebbe scendere del 3% all’anno, dando comunque delle possibilità limitate di contenere effettivamente il riscaldamento globale entro 1,5 °C rispetto all’era pre-industriale. Non c’è alcuna certezza, infatti, che tali sforzi consentano di centrare gli obiettivi climatici globali, ma soltanto un aumento di probabilità.
Il rapporto di Carbon Tracker ritrae uno scenario simile, che vede una riduzione della produzione di almeno il 50% di 20 delle 40 società di energie fossili più quotate al mondo entro il 2030. Ciò significa che le big companies non solo dovrebbero ridurre drasticamente la propria produzione, ma escludere nuovi progetti di estrazione, sfruttando quelli esistenti fino all’esaurimento. Un quadro piuttosto lontano dalla situazione attuale, dove tutte le grandi società hanno ancora in programma investimenti di miliardi di dollari in nuovi progetti.
Più nel dettaglio, i tassi di produzione di idrocarburi non convenzionali dovrebbero calare dell’80%, secondo il think tank con sede a Londra, per cui le major delle fossili più colpite sarebbero quelle attive nello shale: ConocoPhillips, specializzata negli scisti, dovrebbe calare del 69%, Chevron del 52%, Eni del 49%, Shell del 44%, BP e ExxonMobil del 33%, Total del 30%.
Tagli simili potrebbero però facilmente determinare bilanci disastrosi per le compagnie nei prossimi anni, che si troverebbero investimenti persi. Ai ritmi attuali, secondo gli autori, gli asset non più competitivi rispetto alle rinnovabili potrebbero valere 1.000 miliardi di dollari, un altro motivo per rivedere interamente i piani per la transizione energetica al più presto.
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