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La capacità di stoccaggio dei terreni si sta riducendo con l’aumento del riscaldamento globale.
Anche il suolo sta perdendo la propria efficacia come “pozzo” di carbonio. Lo dice un nuovo studio pubblicato su Nature, condotto dai ricercatori delle Università di Exeter e Stoccolma, che mostra come la capacità di stoccaggio dei terreni di CO2 stia progressivamente diminuendo a causa del riscaldamento globale.
In media, ad un aumento di 10 °C di temperatura, corrisponde una riduzione della capacità di assorbimento del 25% circa, secondo la ricerca. A determinare questi cambiamenti sono anche la latitudine e la quantità di argille presenti, oltre al clima, evidenziando i terreni con poca argilla e a latitudini estreme come i siti di stoccaggio più minacciati.
L’effetto del riscaldamento globale sul suolo terrestre si rivela più allarmante del previsto: man mano che la temperatura aumenta e le concentrazioni di anidride carbonica crescono, la possibilità di catturare CO2 si riduce, in un processo di feedback positivi che già abbiamo osservato negli oceani e nelle foreste e che potrebbe condurre ad un punto di non ritorno.
La riduzione della capacità di stoccaggio di carbonio riguarda tutti i tipi di terreno. I ricercatori hanno analizzato le proiezioni su un aumento della temperatura globale di 10 °C, evidenziando una riduzione del 25%. Utilizzando una scala di aumento estremo, il team ha potuto ottenere una stima più accurata degli effetti del cambiamento climatico sul carbon sink, escludendo altre variabili, spiega il co-autore Iain Hartley.
I risultati evidenziano un vero e proprio declino della capacità di stoccaggio dei terreni, che a sua volta innescherebbe ulteriori effetti a cascata, incrementando il riscaldamento globale e così via. L’analisi su 9.300 campioni diversi di suolo ha inoltre rivelato che nei suoli a bassa argilla la capacità di stoccaggio diminuirebbe 3 volte di più rispetto a quelli ricchi di argilla.
Le riserve di carbonio più a rischio, secondo i ricercatori, sono quelle a bassa argilla situate nelle alte latitudini, ovvero quelle più vulnerabili al riscaldamento globale. Proprio questi depositi di CO2 andrebbero maggiormente controllati, avverte lo studio, mentre l’aumento della temperatura avanza sempre più veloce, soprattutto ai poli del pianeta.
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