Fibre tessili e frammenti di resine chimiche sono presenti in grandi quantità nelle profondità degli oceani, rivelandosi anche più pericolose.
Uno studio della Florida Atlantic University ha ottenuto per la prima volta una stima della quantità di microplastiche presenti nel South Atlantic Suptropical Gyre, il vortice dell’Atlantico meridionale nel settore subtropicale, tra Africa e Sudamerica, analizzando le colonne d’acqua che scendono in profondità.
Le microplastiche sono frammenti inferiori a 5 millimetri di grandezza, la cui dispersione negli oceani ha ormai raggiunto livelli preoccupanti e minaccia gli ecosistemi marini. Negli ultimi anni diverse ricerche hanno ottenuto stime della concentrazione di queste particelle inquinanti nei mari, ma le analisi sulle acque profonde oggi sono ancora scarse.
Oltre alle enormi isole di plastica che galleggiano sulla superficie degli oceani, si stima che i fondali marini e le acque profonde siano contaminati da ammassi di microplastiche, che probabilmente mettono a rischio altri strati degli ecosistemi marini in modo ancora sconosciuto. Dai campioni prelevati nel vortice dell’Atlantico meridionale, il nuovo studio ha rivelato una concentrazione media di 244,3 frammenti di microplastiche per metro cubo.
L’analisi in particolare evidenzia la presenza di frammenti inferiori ai 100 micrometri, mentre i frammenti più grossolani contano una concentrazione di 2,5 unità a metro cubo, ovvero una presenza nettamente inferiore. Di fatto, le particelle più piccole sono anche le più pericolose, poiché in grado di penetrare più facilmente negli ecosistemi, dal plancton alla maggior parte degli organismi viventi, contaminando la catena alimentare.
“Le piccole microplastiche sono diverse dalle grandi microplastiche per quanto riguarda la loro elevata abbondanza, la natura chimica, il comportamento di trasporto, le fasi di deterioramento, le interazioni con l’ambiente, la biodisponibilità e l’efficienza di rilascio degli additivi plastici”, spiega Shiye Zhao, autore principale dello studio.
Ma da dove provengono le microplastiche negli oceani?
Le particelle incriminate derivano principalmente da resine alchidiche, ovvero materiali a base di petrolio utilizzati per il rivestimento di imbarcazioni, come le vernici, oppure da fibre tessili sintetiche, in gran parte poliammide, largamente utilizzata per la realizzazione di indumenti, corde e reti da pesca. I due materiali insieme rappresentano il 65% delle particelle totali rinvenute nei campioni raccolti.
I dati confermano che l’inquinamento da microplastiche negli oceani si presenta in diverse forme dalla superficie alle profondità, con i polimeri come polietilene e polipropilene – utilizzati per contenitori di plastica, imballaggi, buste della spesa o bottiglie d’acqua – che tendono a galleggiare e le particelle più piccole che scendono verso i fondali, con effetti ambientali potenzialmente drammatici.
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